L’ossessione del vero 2006 web

L’ossessione del vero

Sergio Saroni

Sergio Saroni nasce nel 1934. Frequenta l’Accademia Albertina e l’ambiente artistico torinese. Condivide i primi entusiasmi con i più o meno coetanei Aimone, Casorati, Chessa, Tabusso, Ruggeri. Dal ’54, sostenuto dalla stima di Luigi Carluccio e dall’appoggio della galleria la Bussola di Torino, partecipa ad importanti premi nazionali, ottenendo riconoscimenti che lo collocano nella ristretta cerchia delle giovani promesse. Arcangeli, Valsecchi e Carluccio ne fanno uno dei campioni del cosiddetto “informale naturalistico”, che si afferma nell’arco della seconda metà degli anni cinquanta in area padana. Espone alle rassegne Francia – Italia nel ’55 e nel ’57; alla Biennale di Venezia nel ’56, ’58, ’62; a San Paolo del Brasile nel ’59. Dalla polemica tra Carluccio e Pistoi (’57 / ’58), che promuovono sue mostre con Ruggeri, Merz e Soffiantino sotto insegna informale o aformale, Saroni esce indirizzandosi alla “nuova figurazione”, che a Torino, Milano e Roma regge il confronto con i neoastrattismi e gli sperimentalismi d’inizio anni sessanta (partecipa alla mostra internazionale della “Nuova Figurazione”, Firenze 1963, e a “Mitologie del nostro tempo”, Arezzo 1965). La scelta di un figurativismo attuale lo mette nella necessità di rinnovare il linguaggio; in tal senso, assume parte importante la ricerca grafica. Parallelamente si dedica all’insegnamento, prima al Liceo Artistico poi all’Accademia Albertina, dove subentra a Enrico Paulucci sulla prima cattedra di Pittura. Dell’Accademia diventa direttore, accompagnando con precise responsabilità il mutamento di rotta che tocca l’Istituzione a livello nazionale: in particolare coinvolge nei cosiddetti corsi speciali alcuni artisti che hanno segnato un’epoca; promuove una serie di mostre memorabili (“Gaudenzio Ferrari e la sua scuola”, 1982, “Arte a Torino – 1946/53”, 1983, “Felice Castrati”, 1985, “Aldo Rossi, disegni di architettura”, 1986, “Mario Calandri”, 1987, “Eclettismo e Liberty a Torino. Giulio Casanova e Edoardo Rubino”, 1989, “Francesco Gonin”, 1991), la riapertura della Pinacoteca dell’Albertina e la pubblicazione della monografia, a cura di F.Dalmasso, P.Gaglia e F.Poli sulla stessa Accademia. Dopo tre sorprendenti Personali, che rinnovano profondamente la sua immagine – a Torino, Documenta 1981 e 1990, a Milano, Compagnia del disegno, 1983 – muore nel 1991.

Critica

La grafica si distribuisce su tutto l’arco della attività di Sergio Saroni, con caratteristiche e funzioni diverse. Ancora allievo dell’Accademia, egli realizza inchiostri di nervosa aggressività, contemporaneamente inizia a praticare l’incisione calcografica, sfruttando tecniche sperimentali e intervenendo a volte con inchiostri colorati sulla stampa. Proprio l’incisione, tra la metà degli anni sessanta e la metà dei settanta assume parte protagonista nell’economia complessiva del lavoro: non solo nel senso che si moltiplicano le personali di grafica e le partecipazioni ad importanti rassegne incisorie, mentre si assottigliano le presenze da pittore, ma soprattutto perché la calcografia diventa lo strumento attraverso il quale l’artista ripensa criticamente il proprio impegno che nel frattempo si è spostato dall’ “informale naturalistico” ad una “neo-figurazione”, dove l’analisi del linguaggio si intreccia con un interesse sempre più dichiarato per la “realtà esistenziale”. Parallelamente il disegno – matita su carta, a volte con discrete integrazioni cromatiche – si acuisce in funzione descrittiva e narrativa. Nell’ultima stagione, a cominciare dalla fine dei settanta fino alla morte prematura, nel ’91, il disegno continua ad essere praticato in forme autonome e finitissime (esemplari gli omaggi a Lotto e al giovane Caravaggio), ma diventa essenziale nella stessa pittura (del resto rigorosamente su carta): una nuvola o un albero immerso in una luce agostana sono prove di straordinaria maestria grafica e insieme di tagliente intensità. La produzione incisoria, invece, si riduce confrontandosi con esiti tipici della pittura, non a caso prevale la pittorica acquatinta. Questa mostra di Cavatore non si pone tanto l’obiettivo di documentare sistematicamente la vicenda ora descritta (in tal senso procede, semmai, il catalogo ragionato delle calcografie, arrichito da un significativo repertorio di grafica diretta), quanto di illuminare i passaggi fondamentali del disegno e di esporre per la prima volta alcune serie di grafica incisa specialmente significative. Insomma, più che dare una immagine completa dell’artista, si propone di fornire una prospettiva di accesso e interpretazione del lavoro. Pino Mantovani

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