La seduzione della pittura 2009

La seduzione della pittura

Enrico Paolucci

Enrico Paulucci è nato a Genova nel 1901. Compie gli studi a Torino. Durante gli anni del liceo rivela la sua inclinazione per la pittura e partecipa al gruppo futurista. Sono della fine degli Anni Venti i suoi incontri con l’ambiente artistico torinese: Casorati e Venturi, Persico e Soldati, Debenedetti e Gromo, Sobrero e Sottsas, Argan e Bertini. Nel 1928 va a Parigi e l’anno seguente, insieme a Chessa, Levi, Galante, Menzio e Boswell costituisce il gruppo dei “Sei Pittori”, che espone a Torino, Genova, Milano, e poi a Parigi, Londra e Roma. Nel 1939 è chiamato alla cattedra di pittura dell’Accademia Albertina. Durante gli anni di guerra si trasferisce a Rapallo. Nel 1954 è presente alla Biennale di Venezia con una sala personale, l’avrà ancora nel 1966. L’anno seguente diventa direttore dell’Acccademia, di cui sarà poi presidente. Allestisce innumerevoli mostre in tutte le più importanti gallerie italiane, da Verona a Firenze a Messina, e numerosissime sono le antologiche che, a partire dalla mostra “I Sei di Torino” alla Galleria d’Arte Moderna del 1965, gli vengono dedicate. Importanti quelle del 1979 alla Promotrice, del 1996 a Palazzo Bricherasio e del 2008 a Palazzo Mathis di Bra. Intensa anche la sua attività oltre confine: Londra nel 1030 e 1946, Parigi nel 1931, Berlino nel 1937. E Linz, Praga, Il Cairo, Nizza, Stoccolma, San Paolo, Barcellona, New York, Ginevra, Oslo ecc. È stato presidente della prestigiosa Accademia romana di San Luca e membro della Clementina di Bologna e “delle Arti e del Disegno” di Firenze. Fu scenografo, teatrale e cinematografico, insieme a Soldati, Levi, Blasetti, Moravia, Pasolini e Strehler, per rappresentazioni alla Fenice di Venezia ed in teatri di tutt’Italia. Enrico Paulucci è morto a Torino nel 1999.

Critica

Una vita in souplesse, quella di Enrico Paulucci marchese delle Roncole. Una giovinezza serena, condotta tra l’invito paterno ad una professione “seria” ed il desiderio del rampollo irrequieto di seguire gli istinti che lo spingono all’avventura artistica. E così, tutt’insieme, gli studi universitari, la maglia di portiere bianconero e la consuetudine con il mondo artistico operoso all’ombra della Mole. E ancora i viaggi, a Parigi soprattutto, per inebriarsi degli effluvi, coloristici e libertari, d’Oltralpe. Fino ai primi successi, l’amicizia con Casorati, la creazione del gruppo dei “Sei”, gli inviti alla Biennale, la cattedra all’Accademia Albertina infine, di cui fu anche direttore e presidente. Non fu mai, Paulucci, pittore identificabile con un particolare luogo o situazione. Ricco invece del nomadismo intellettuale che privilegia il genio, il mondo viaggia con lui, le sue radici traslocano ed attecchiscono rapidamente in ogni nuova occasione: Torino, Roma e Rapallo sono situazioni straordinariamente consimili per una personalità poliedrica, caratterizzata da una forza portentosa, capace di catalizzare gli influssi piegandoli e temperandoli in funzione di un unico scopo: la sua arte. Il suo sogno, il suo ideale, la sua vita. La sua tavolozza di pittore si arricchisce via via di colori splendenti e pastellosi, lievi ed aciduli, rosati e vermigli, viola, aranci ed azzurri, gialli e verdi; i lampi di Matisse ed i lucori di Derain, la stesura piana di Braque e la svirgolata prospettiva di Cézanne, la nitidezza di Dufy, il tocco angelico di de Pisis e un pizzico ancora della polvere vellutata di Felice Carena, in una sintesi di spazio e luce, dove oggetti e colline, vele ed alberi galleggiano su superfici nuvoleggianti, annotate di macchie, ora d’aria ora di cielo. Con un dono innato: la leggerezza, l’impalpabilità, l’ironia, l’apparente disordine del volo di una farfalla o di un cardellino, che riassumono in una purezza quasi astratta una summa di sapienza antica, di gioia equilibrata, di ammicchi al dandysmo e lo snob. Come in un canto, un fischiettare anzi, libero ed immediato. Per arrivare alla liricità dell’emozione con la straordinaria semplicità di una pittura che non complica, non discute, non illude. Gianfranco Schialvino

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